Etiopia. Terminata la costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam
L'annuncio del PM Abiy Ahmed sulla grande diga sul Nilo azzurro: "La diga rinascimentale non è una minaccia, ma un’opportunità condivisa". Insorge il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.
L’Etiopia annuncia di aver completato la costruzione della mega-diga sul Nilo Azzurro che è stata a lungo fonte di tensione con Egitto e Sudan.
Il progetto, lanciato nel 2011, costato fino ad oggi 4 miliardi di dollari, è uno dei cardini dell’agenda politica etiope.
In questa ricostruzione, cercherò di darvi tutti gli elementi salienti per poter comprendere quanto sia importante quest’opera e perché sia causa di forti tensioni nella regione.
Il governo etiope reputa la diga un progetto vitale per il fabbisogno energetico interno e non retrocede di un millimetro rispetto al completamento ed avvio dell’opera.
Egitto e Sudan dal canto loro hanno concepito la sua costruzione come una minaccia alla sopravvivenza delle proprie comunità e mercati economici.
Durante l’annuncio del completamento del progetto, Abiy Ahmed ha cercato di rassicurare i vicini: “Ai nostri vicini a valle – Egitto e Sudan – il nostro messaggio è chiaro: la diga rinascimentale non è una minaccia, ma un’opportunità condivisa“.
In una mossa conciliante, Abiy ha detto che sia l’Egitto che il Sudan saranno invitati alla sua inaugurazione ufficiale, prevista per il prossimo settembre.
“Crediamo nel progresso condiviso, nell’energia condivisa e nell’acqua condivisa“, ha aggiunto.
Ma la tensione continua a salire. Il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, durante l’incontro con il generale sudanese Abdel Fattah al-Burhan, tenutosi questa settimana, ha sottolineato il “rifiuto di qualsiasi misura unilaterale nel bacino del Nilo blu“.
L’Egitto dipende dal Nilo per l’acqua dolce e teme la riduzione del flusso idrico. “Una sola riduzione del 2% della quantità d’acqua del Nilo – ha affermato al-Sisi – potrebbe comportare la perdita di 81000 ettari di terreno irrigato”.
Il Sudan condivide le preoccupazioni egiziane, temendo fortemente la riduzione delle quote idriche spettanti al paese. Sebbene quest’ultimo abbia un’economia meno sviluppata di quella egiziana, dipende fortemente dalle acque del Nilo azzurro per la propria agricoltura.
Più di un miglio di lunghezza e 145 m di altezza, la diga si trova sull’affluente del Nilo Azzurro negli altopiani settentrionali dell’Etiopia (a circa 500 chilometri a nord-ovest della capitale etiope di Addis Abeba), da dove scorre l’85% delle acque del Nilo.
La GERD ha iniziato a produrre energia nel 2022. Si prevede che il progetto alla fine produrrà oltre 6.000 megawatt di elettricità, che è il doppio della produzione attuale dell’Etiopia e abbastanza per rendere la nazione dell’Africa orientale di 120 milioni un esportatore netto di energia (una novità per un paese dove il 60% della popolazione non ha approvvigionamento energetico).
Abiy ha detto che l’Etiopia è “disposta a impegnarsi in modo costruttivo con i due paesi, insistendo sul fatto che la diga sarà uno strumento di sviluppo cruciale che aiuterà a far uscire milioni di cittadini dalla povertà“.
Il “Cooperative Framework Agreement” (CFA), l’Accordo Quadro di Cooperazione sul Nilo.
Il 13 ottobre 2024 entrava ufficialmente in vigore il “Cooperative Framework Agreement” (CFA), un Accordo Quadro di Cooperazione sul Nilo firmato da sette paesi dell’Africa orientale, tra cui Etiopia, Kenya, Ruanda, Burundi, Tanzania, Uganda e Sud Sudan.
L’accordo, ratificato dai paesi situati a monte del fiume, stabiliva principi e linee guida per un uso equo e sostenibile delle acque del Nilo, con l’obiettivo di favorire la cooperazione e lo sviluppo economico regionale.
In particolare, il CFA riconosceva alcuni principi fondamentali, come l’uso equo delle risorse idriche, la cooperazione tra Stati sulla base dell’uguaglianza sovrana e la prevenzione di danni ad altri Stati del bacino fluviale. Tra le misure principali, il CFA prevedeva la creazione di una Commissione per il fiume Nilo, incaricata di garantire una gestione concertata delle risorse idriche.
Abiy Ahmed, primo ministro etiope, ha espresso più volte il suo entusiasmo per l’entrata in vigore del CFA, definendo la giornata “il culmine di un lungo cammino verso un uso equo e ragionevole delle acque del Nilo”; per i paesi a monte del fiume, l’accordo ha rappresentato una grande opportunità per sfruttare le risorse del Nilo a scopo agricolo, idroelettrico e industriale, promuovendo così lo sviluppo economico in un’area che dipende fortemente dal fiume.
Tuttavia, l’accordo è stato fermamente respinto dai due principali paesi situati a valle del Nilo, Egitto e Sudan.
Entrambe i paesi hanno temuto che l’accordo potesse compromettere il loro accesso alle risorse idriche del fiume, da cui dipende gran parte della loro economia agricola e idroelettrica. Le preoccupazioni di Egitto e Sudan legate all’avvio della Grande Diga del Rinascimento, hanno sollevato forti tensioni politiche e diplomatiche nella regione. Secondo i governi di Egitto e Sudan, la diga ridurrà in modo significativo il flusso d’acqua verso i paesi a valle, con conseguenze potenzialmente disastrose per le loro economie.
La Commissione tecnica congiunta per le acque del Nilo, formata da Egitto e Sudan, ha recentemente -di nuovo - respinto il CFA, accusando i paesi a monte di non aver rispettato le leggi internazionali e di aver approvato un accordo “senza consenso”. La posizione egiziana e sudanese sottolinea il timore che l’Etiopia, con il sostegno degli altri paesi a monte, possa gestire le risorse idriche in modo unilaterale, ignorando i diritti storici dei paesi a valle.
L’attivazione della diga. Italiani in prima linea.
“D’ora in poi, non ci sarà più nulla che fermerà l’Etiopia”
Con una cerimonia di inaugurazione degna di nota, domenica 20 Febbraio 2022 è stata attivata la prima turbina della GERD. Alla presenza del Primo Ministro Abiy Ahmed Ali, in quel di Guba, si è dato avvio alla prima turbina che in grado di generare 375 MW.
Oggi che tutte le 13 turbine sono attive la Grand Ethiopian renaissance Dam ha una capacità di generazione totale di 5.150 MW e una produzione di energia annuale di 15,76 TWH. L’opera iniziata nel 2011, con una capacità di riempimento di 74 miliardi di metri cubi d’acqua, ha visto il primo riempimento della diga nell’estate 2020 e il secondo nel luglio 2021.
Alla cerimonia era presente anche l’Ingegner Pietro Salini, CEO della Webuild, ex Salini Impregilo, appaltatrice dell’opera; l’azienda si è già resa protagonista nella costruzione di un’altra grande diga in Etiopia, sul fiume Omo: la Gilgel Gibe III, completata nel 2015, tra mille polemiche derivanti dal trattamento riservato alle popolazioni indigene, obbligate a lasciare forzatamente territori abitati da migliaia d’anni, ricollocate altrove dal governo anche attraverso un uno considerevole della forza, come riportato dal Think thank statunitense”Oakland Institute” nel 2019.



E’ stato proprio Salini a rendere omaggio e a fare gli onori di casa, sottolineando come la costruzione della diga e la sua messa in funzione non siano state imprese facili; imprese che hanno richiesto uno sforzo enorme alla nazione ma che verranno ripagate nel prossimo futuro dalla grande ricchezza di cui è provvista l’Etiopia, il suo petrolio bianco, l’acqua. Un’opera che ha avuto sin dall’inizio, come affermato dallo stesso Salini, molti nemici.
La diga, la cui costruzione ha avuto un costo di circa 4,6 miliardi di dollari “è stata possibile attraverso il contributo diretto dei cittadini etiopi, attraverso l’acquisto di obbligazioni statali e attraverso finanziamenti derivanti dal bilancio dello stato” ha confermato in tal senso il dott. Seleshi Bekele, capo negoziatore e consulente per i fiumi transfrontalieri e GERD.
In un comunicato del Ministero degli Affari Esteri, l’Egitto ha affermato che l’attivazione della diga ha violato la “Dichiarazione di principi” siglato da Etiopia, Sudan e appunto Egitto nel Marzo del 2015, in base al quale i due paesi avrebbero permesso all’Etiopia la costruzione della diga ma non a danno dei paesi beneficiari delle acque del fiume.
La dichiarazione di principi del 2015, siglata da Etiopia, Egitto e Sudan
La dichiarazione vincolava i tre firmatari a mettere in campo ogni tipo di azione a salvaguardia delle popolazioni, obbligando i tre ad adottare ogni misura necessaria a scongiurare danni derivanti dallo sfruttamento delle acque del fiume (situazione complicata anche dall’esistenza di due trattati siglati tra Egitto e Sudan, nel 1929 e nel 1959 che avrebbero dato all’Egitto il potere di veto sulla costruzione di opere idrauliche sul fiume e che avrebbero stabilito nel 66% le quote idriche spettanti all’Egitto e nel 22% quelle al Sudan. Trattati mai riconosciuti dall’Etiopia in quanto firmati senza il coinvolgimento del paese nelle trattative.
Il Presidente Abdel Fattah al-Sisi pur riferendo ad Associated Press che il paese “ha sempre avuto la volontà politica di raggiungere un accordo vincolante su GERD” si è sempre detto molto preoccupato per i flussi idrici, che potrebbero mettere in seria difficoltà i vasi egiziani In una dichiarazione ai media ha affermato che “pur capendo gli sforzi del governo etiope tesi allo sviluppo del paese, non accetterà che questi ultimi siano fatti a scapito della sicurezza idrica dell’Egitto”.
In effetti il 97% delle acque potabili e per l’irrigazione del paese dipendono dalle acque del Nilo, cosa che ha portato più volte il Presidente a considerare la diga una minaccia all’esistenza stessa del paese dei faraoni.
Preoccupazioni che accomunano anche il Sudan. Il Nilo Azzurro è fondamentale per quest’ultimo. 15 chilometri a est della GERD, il Nilo Azzurro entra nel territorio del Sudan, e in prossimità della capitale sudanese Khartum si unisce al Nilo Bianco, che trova origine in Uganda.
Khartoum dopo il fallimento degli ultimi round di colloqui, sponsorizzati dall’Unione Africana (AU), tenutosi a Kinshasa, ha incolpato Addis Abeba di intransigenza immotivata, sebbene speri sempre che la costruzione della diga regoli le inondazioni stagionali ed i periodici clici di siccità nelle zone a valle.
Fallimenti diplomatici non indifferenti, andatisi ad aggiungere agli scontri bellici che per mesi hanno insanguinato i territori contesi nel triangolo di Al Fashaqa, una zona in territorio sudanese ma coltivata dagli anni ’80 da agricoltori etiopi di origine ahmara.
Ciò che più preoccupa però è la posizione de Il Cairo. Tutti gli attori internazionali sanno bene che l’Egitto non si fermerà nel cercare una soluzione al caso e farà valere tutto il suo peso in campo internazionale. Altresì Addis Abeba non rinuncerà mai al suo progetto, né accetterà di depotenziarlo o snaturarlo per timore di pestare i piedi al grande Egitto.
Tutti gli osservatori sanno bene che una soluzione politica - che tenga conto delle necessità dei tre attori regionali - è l’unica via percorribile, anche se per arrivarvi ognuno dei tre dovrà cedere un pezzettino di terreno nel tavolo delle contrattazioni.
Ad oggi però, anche se le tre potenze regionali hanno sempre espresso la volontà di riprendere i colloqui, ogni tentativo messo in atto è fallito.
Come vedete cerco di raccontare il Corno d’Africa facendo modo e maniera che sia accessibile a tutti.
Ma avete strumenti infiniti per andare a fondo, dal mio canto mi sono limitato a darvene alcuni, che trovate nei link nell’articolo.
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Articolo chiaro ed interessante perché è inevitabile che i problemi legati all' approvvigionamento idrico sono alla base della governance del continente non solo politico sociale ma anche ambientale. Le dighe sono strutture, posso dire, a doppio taglio, la loro gestione è una sfida che non tutti i paesi sono in grado di realizzare.